DANTE 21 è uscito su tutte le piattaforme online! 🎧
Un lavoro che nasce dalla collaborazione del Quartetto Indaco e le Edizioni Sconfinarte, che mette insieme 34 compositori, un quartetto, una casa Editoriale e Discografica per un omaggio collettivo, tutto italiano, all’immortale poeta Dante Alighieri per celebrare i 700 anni dalla morte.
34 brani per i 34 canti dell’inferno, in un viaggio attraverso nuove voci che commentano antichi versi: ed insieme un augurio per tornare tutti, dopo questi anni “infernali” a riveder le stelle!
Canto I, Andrea Portera
Canto II, Giampaolo Testoni
Canto III, Umberto Pedraglio
Canto IV, Nicola Sani
Canto V, Carlo Galante
Canto VI, Gabriele Manca
Canto VII, Lucio Gregoretti
Canto VIII, Marco Bertona
Canto IX, Carmen Fizzarotti
Canto X, Mario Pagotto
Canto XI, Umberto Bombardelli
Canto XII, Roberta Vacca
Canto XIII, Michele Sarti
Canto XIV, Mauro Saleri
Canto XV, Daniele Carnini
Canto XVI, Paolo Perezzani
Canto XVII, Rossella Spinosa
Canto XVIII, Fabio Cifariello Ciardi
Canto XIX, Dario Maggi
Canto XX, Luca Ricci
Canto XXI, Giovanni Bietti
Canto XXII, Daniele Venturi
Canto XXIII, Remo Anzovino
Canto XXIV, Federico Maria Sardelli
Canto XXV, Giovanni Sollima
Canto XXVI, Alberto Cara
Canto XXVII, Matteo Manzitti
Canto XXVIII, Alessandro Cusatelli
Canto XXIX, Marco Lombardi
Canto XXX, Marco di Bari
Canto XXXI, Fabrizio Casti
Canto XXXII, Alessandro Solbiati
Canto XXXIII, Federico Biscione
Canto XXXIV, Cosimo Carovani
Photo Credit: Ernesto Casareto
Illustrazioni Booklet: Fabio Nicora
Registrazione: Dorno (Pavia)
Tecnico suono e Responsabile della registrazione: Stefano Ligoratti
Link Spotify: https://open.spotify.com/album/6Igtr1xhCoFl09iXZF1FGw…
ANDREA PORTERA: Lo’nferno
La prima sensazione sul progetto fu che il I Canto non avesse necessità di musica e che un suono ulteriore al testo fosse invasivo nell’opera, già ricca di “timbri”. Poi ho visto due spiragli: 1. Dante accede alla selva da un sogno; le suggestioni oniriche di Dante potevano essere rievocate partendo dalle messe scritte intorno al ‘300, anno del “viaggio”. La deformazione onirica di questo materiale inizia così il brano: Dante terrorizzato in una selva oscura. La fase post-risveglio segue anche dopo i vocalizzi sacri, sostituiti dal declamato dantesco. 2. Nel I Canto le emozioni sono più variegate, non solo “infernali”. Si oscilla tra tenebra e luce, terrore e speranza, ricordo e presagio. Così l’Intelligenza Emotiva, alleata del mio processo creativo, è stata una guida solidaissima.
GIAMPAOLO TESTONI: Canto
Questo “Canto” è uno dei movimenti del mio Secondo Quartetto per archi, ispirato al secondo canto dell’Inferno. Il canto del dubbio del poeta al calare della notte prima del suo viaggio nelle tenebre. Virgilio racconta la visione angelica dell’amata Beatrice apparsagli tra le anime “sospese” nel limbo per convincerlo a soccorrere il poeta incerto e timoroso di questo percorso sotterraneo nei meandri pericolosi della memoria ai confini della ragione. La metafora abbagliante della Bellezza che guida e conforta l’Artista ha risuonato potentemente nel mio cuore e ha fornito le immagini musicali fugaci ma abbaglianti: i miei dubbi, le paure e l’attrazione per la compiutezza salvifica della forma espressiva del suono agitano i frammenti melodici che intrecciano il mio racconto.
UMBERTO PEDRAGLIO: Incanto
La partitura – priva di andamento narrativo e come sospesa nel tempo – prende spunto dal III canto dell’Inferno dantesco ed è strutturata in differenti piani sonori intrecciati fra loro. Da un punto di vista armonico è costruita su quattro accordi omnintervallari caratterizzati dall’uso ridondante di risonanze, anche vocali. La composizione è inoltre incentrata su una ricerca costante di timbri non convenzionali. Nell’evocare l’inferno dantesco, l’opera si rivela all’ascoltatore come un’immagine in movimento, eterea ed eterna, e, pur essendo ispirata a un senso di disperazione e di turbamento, suggerisce l’aspettativa di una dolcezza ancora lontana. In Incanto il dolore, non urlato, sembra quasi frusciare smarrito.
NICOLA SANI: Non avea pianto mai che di sospiri
Scritta per il progetto a più mani “Dante 2021”, ideato da Alessandro Calcagnile in occasione del700esimo anniversario della morte del grande poeta fiorentino e incentrato sulla prima delletrecantichedella Divina Commedia, l’Inferno,questa composizione è dedicata al Canto IV, in cuiviene raffigurato il Limbo. Luogo opaco, di ombre, dove figure senza tempo e senza colpaattraversano lo spazio in preda a un’eterna nostalgia. Come raramente accade nella narrazionedantesca, quello del poeta con il Limbo è un incontro di suoni. Sono i sospiri delle anime a catturarela sua attenzione, sospiri che esprimono tutta la tensione di un eterno “wanderung” nella malinconiadi un desiderio inesprimibile. Il suono degli archi esprime la sensazione del poeta in ascolto, ilsenso di una materia indefinita, che racchiude nel sospiro lamento e desiderio. All’interno di questotrama timbrica afona, vetrosa, ruvida, arcaica, apparentemente immobile e indefinita, si muovonosolo due brevi linee espresse dai violini, come un accenno di dialogo tra i due poeti erranti,circondati da opache sonorità.
CARLO GALANTE: E paion sì al vento esser leggeri
Arduo, forse impossibile, è stato il tentativo di evocare in un tempo musicale assai limitato, il meraviglioso brano dantesco, tratto dal Canto V dell’Inferno, incentrato su Paolo e Francesca, i due celebri amanti, così patetici e fascinosi, condannati alla morte corporea e a quella della propria anima dall’intensità del loro stesso sentimento amoroso. Ho cercato di cogliere nel testo dantesco, due elementi specifici e concentrare l’immaginazione compositiva su di essi. Il primo, il più importante, è tratto letteralmente dal dettato del sommo poeta, e mi sembrava particolarmente adatto a essere evocato dalla musica: il vento infernale che costantemente trascina le due anime dannate. Il secondo asseconda i miei ricordi di bambino, quando a casa della nonna sfogliavo la Divina Commedia illustrata da Gustave Dorè, affascinato da quelle straordinarie pitture. Non ricordo esattamente la specifica illustrazione di Paolo e Francesca, ma certamente la sua stupefatta visione. Gli elementi musicali che caratterizzano questa breve pagina musicale sono due e strettamente connessi: un elemento vorticoso, in rapide terzine ascendenti e discendenti che si tramuta mano a mano nell’altro, in un elemento melodico straziato, quasi un lamento in cui, però, permane la traccia del grande amore che provano i due innamorati. La percezione di questa musica dovrebbe essere come quella di un flasch fotografico nel buio della notte: tutti gli elementi sono perfettamente in vista, quasi sgranati, ma solo per un attimo brevissimo, prima di scomparire nuovamente nell’oscurità. Spero, poi, che nella musica rimanga traccia di quella mia lontana memoria delle illustrazioni del Dorè.
GABRIELE MANCA: Canto VI
Pioggia eterna, maledetta e greve; acqua sporca in aria scura e suono assordante per il quale le ombre invocano una pietosa sordità. Sozza mistura di anime e pioggia. Il tormento è un “cosmico”, perpetuo disagio, suono che satura si sé tutto lo spazio e le anime stesse, fango che tutto confonde.
LUCIO GREGORETTI: L’acqua era buia assai
Immersi nella palude in cui confluiscono le acque del fiume Stige si trovano gli accidiosi, vale a dire gli “iracondi amari e difficili”. Sono coperti dal fango, non riusciamo propriamente a vederli ma cogliamo la loro presenza. L’acqua infatti ribolle e gorgoglia a causa della filastrocca che quei dannati ripetono all’infinito, sempre uguale, sussurandola con voce strozzata. Il recitativo interlocutorio del violoncello, non ottenendo risposta, finisce poco a poco per confondersi con il borbottare disarticolato dei dannati sommersi.
MARCO BERTONA: Canto VIII
La materia dell’Inferno è composta dagli stessi elementi del nostro mondo ma sotto forma di isotopi inauditi. Così Marco Bertona evoca un ambiente vagamente familiare e insieme inafferrabile, alieno, tramite un campo armonico seriale endecafonico basato però su una sequenza di quattro triadi: avatar di accordi tradizionali. L’inserimento in questa straniata tranquillità di nervose volate ed aspri pizzicati porta progressivamente ad una trasformazione del contesto in senso concitatamente contrappuntistico. Allucinato silenzio, la calma piatta della morta gora, lampi nella mente del poeta, la rabbia prima sommersa poi esplosiva degli iracondi, le torri infuocate della città di Dite. Infine, l’approdo dell’”antica prora” nello spegnersi nel nulla degli ultimi suoni. E un inquieto silenzio.
CARMEN FIZZAROTTI: Di sangue tinte
Colori vividi. “Di sangue tinte” nasce dalle urla, dalla materia grezza, dalla cecità e dalla vista – per rimanere sul piano della fisicità – elementi tutti che predominano nel IX Canto che segna il passaggio per la Città di Dite, per il VI Cerchio. Si è spesso detto di quanto teatrale sia l’impostazione del IX Canto, e a tutti gli effetti la nostra immaginazione è rapita dal susseguirsi di odori, suoni, immagini vivide o solo evocate, così come personaggi – Dante e Virgilio, le “tre furïe infernal di sangue tinte, / che membra feminine avieno e atto, / e con idre verdissime eran cinte” Medusa, il Messo Celeste, gli eretici e “li lor coperchi [eran] sospesi, / e fuor n’uscivan sì duri lamenti, / che ben parean di miseri e d’offesi”
MARIO PAGOTTO: Dolce lume?
Il titolo riprende il verso “Non fiere li occhi suoi lo dolce lume?” tratto dal X Canto dell’Inferno di Dante Alighieri. Sono le parole con cui Farinata degli Uberti chiede angosciato a Dante se suo figlio sia ancora vivo. Ai dannati è precluso di conoscere la sorte anche delle persone più vicine e più amate in vita. Il materiale musicale della struttura musicale è originato da una linea melodica, tratta da una Caccia (“Per larghi prati”) di Giovanni da Cascia , che fu compositore contemporaneo di Dante Alighieri. La melodia originale viene accennata dal violoncello nella seconda parte del brano.
L’attacco del brano e la sua conclusione con prolungati suoni lunghi che piombano nel silenzio simboleggia l’affannoso interrogativo.
UMBERTO BOMBARDELLI: Come natura
La struttura del brano e le soluzioni compositive sono determinate da alcune immagini-chiave del Canto XI. Innanzitutto l’idea di vertigine davanti all’abisso che si apre ai piedi di Dante e Virgilio. Poi la violenza, l’introversione e la dissoluzione, identificate nelle tre cerchie dei violenti, dei suicidi e dei peccatori contro Dio e la Natura. Infine, l’ascesa di un puzzo insopportabile dalle profondità dell’Inferno. Nel Canto è presente anche il tema dell’Arte come prosecuzione dell’atto creativo di Dio; il pezzo, analogicamente, si sviluppa così da un esiguo materiale musicale – sequenze di quattro suoni basate sulle diverse combinazioni sempre degli stessi intervalli (tono, terza minore, quinta giusta) – mantenuto in uno stato di costante espansione.
ROBERTA VACCA: caosconverso
Nel settimo cerchio Dante ci parla dei violenti contro il prossimo, del mostro che morde se stesso, della proda del bollor vermiglio, il Flegentonte, “dove i bolliti facieno alte strida” e ci descrive la roccia discoscesa, la ruina, la frana, la conseguenza del terremoto che precedette la discesa di Cristo nel limbo, allorché tutto l’inferno tremò e l’intero universo sembrò per un attimo volersi nuovamente convertire nel caos originario. Secondo la teoria del filosofo greco Empedocle il mondo esiste in virtù dell’odio reciproco tra gli elementi costitutivi della materia. Qualora a quest’odio dovesse sostituirsi l’amore (il tentativo di fusione dei gesti strumentali, nel mio lavoro), essi si confonderebbero l’uno nell’altro, dando origine al caos (“caòsso converso”).
MICHELE SARTI: Lamentose, oscure selve
La Commedia di Dante trabocca di immagini la cui forza espressiva immediatamente si traduce in paesaggi sonori. Poiché, per questo contesto, lo spazio si delimitava in due minuti di musica, ho ritenuto quanto mai necessario catturare un fotogramma specifico e su quello costruire una micro-drammaturgia che evocasse fin da subito il clima dell’intero quadro. Per mia fortuna la prima immagine di forte impatto emotivo che si presenta nel Canto XIII è già suono: il lamento dei suicidi trasformati in arbusti tra i cui rami fanno il nido le arpie e che con orridi artigli costringono i dannati a perpetue sofferenze. Nel mio immaginario il colore sfuocato e sibilante della selva è imprigionato in un’arcata circolare che suggerisce l’eterno supplizio (potremmo per assurdo frammentare il pezzo e ascoltarlo ‘per sempre’) ma che, al contempo, si scontra con un paradosso: il principio dell’ascolto è una linea ‘orizzontale’ con un inizio e una conclusione. Questo segmento temporale ritagliato in un’eterna bolla per me rappresenta il passaggio temporaneo di Dante e Virgilio nei tre Mondi. Dedico questa miniatura al Quartetto Indaco che insieme a Sconfinarte ha ideato e realizzato il progetto in un tempo in cui la ricerca artistica è sempre più lasciata a margine.
MAURO SALERI: Inferno Canto XIV
Come rendere l’eternità del supplizio in due minuti? Questa è stata la domanda che mi sono posto approcciando la composizione per il Canto XIV. Una prima risposta è venuta annullando qualunque direzionalità alla forma del brano: gli elementi ricorrono senza esaurirsi. La narrazione di Dante dell’incontro con i dannati sofferenti per la pioggia di fuoco e della camminata lungo il Flegetonte è stata resa in maniera sincronica: i due violini e la viola sovrappongono lenti glissati – che rappresentano le “dilatate falde” – mentre il violoncello descrive i vortici sotterranei dei fiumi infernali. I tre gruppi di dannati colpiti dal fuoco sono stati invece tradotti in altrettante figure musicali e assegnati in modo esclusivo ai tre archi superiori. Ne è nata così una fotografia sonora del III Cerchio.
DANIELE CARNINI: Non colui che perde
È il canto di Brunetto Latini, quello in cui Dante incontra e perde (per l’eternità) il suo maestro. L’incontro costringe il personaggio-Dante a mettere in discussione i suoi valori terreni – in specie la cultura – ma al tempo stesso costituisce un omaggio alle sue radici intellettuali. Brunetto si allontana sulla sabbia rovente e sembra tuttavia «quelli che vince, non colui che perde». Il quartetto è dunque dedicato ai maestri: è un brano duale in cui un elemento grezzo si incontra con un elemento più complesso, dialogante, con cui si fonde e che assimila; ma al momento stesso dell’assimilazione, la traiettoria, l’esperienza si interrompe. Data l’origine di uno dei maestri in questione, non sarà strano cogliere degli echi di un certo periodo, e di un certo luogo, fondante per il Novecento.
PAOLO PEREZZANI: …ciò ch’io vidi
All’inizio del XVI Canto dell’Inferno, Dante ci introduce innnanzitutto in una situazione acustica: udiamo pianti, urla e soprattutto il rimbombo del Flegetonte, il fiume di sangue bollente, che da qui, dal settimo cerchio, precipita nel cerchio sottostante. Poi il frastuono incomincerà a crescere al punto “che ‘l suon de l’acqua n’era sì vicino, / che per parlar saremmo a pena uditi”: e sarà in un tale frastuono che alla fine vedremo affiorare, come dalle profondità marine, il mostro Gerione… Difficile trattenersi dal richiamare l’enormità del disegno dantesco e della forza del suo linguaggio. D’altra parte questo piccolo quartetto è nato proprio da un incontro d’ascolto e in un rapporto di risonanza con quelle enormità: per omaggiarne anche così – per brevissimi scorci, quasi “fotografici” – l’intensità, la profondità, il tono, la temperatura.
ROSSELLA SPINOSA: Ecco la fiera
E’ il terzo girone del settimo cerchio. E’il passaggio dall’orlo al fondo del baratro. Si procede esitando, alla scoperta del luogo ove son puniti i violenti contro Dio, la Natura e l’Arte. “Quivi ’l maestro «Acciò che tutta piena esperïenza d’esto giron porti», mi disse, «va, e vedi la lor mena»”. Guarda e osserva, questo è il monito. Studia e comprendi profondamente. “E com’io riguardando tra lor vegno, in una borsa gialla vidi azzurro che d’un leone avea faccia e contegno”: la fiera è intatta, resistente ad ogni pena. E per affrontarla, Dante ritrova nelle parole di Virgilio il sostegno: “«Or sie forte e ardito». Da quella violenza, da quella aggressività, non esser spaventato. Ma lotta contro essa. Resisti. Dante è penetrante. Incisivo. Indelebile. Due minuti di musica per esprimere la poliedricità della paura, della forza, della resistenza, della scoperta. Una sfida per l’uomo e per la conoscenza.
FABIO CIFARIELLO CIARDI: XVIII sulla Bolgia dei Ruffiani nell’Inferno di Dante
In questa prima Bolgia una viola introduce e accommiata quattro ruffiani: sonoCarmelo Bene, Roberto Benigni, Vittorio Sermonti e Vittorio Gasmann. Tra soffocatisospiri i celebri attori cercano ancora di adualare chi li ascolta, con la loro voce quidenudata nei quattro strumenti del quartetto. Attenzione però, vi stannoimbrogliando…Dal mezzo in qua ci venien verso ’l volto, di là con noi, ma con passi maggiori… Diqua, di là, su per lo sasso tetro vidi demon cornuti con gran ferze, che li battiencrudelmente di retro…
DARIO MAGGI: Inferno Canto 19
Verso i simoniaci, coloro cioè che traggono guadagno dalle cose sacre la collera di Dante è senza cedimenti. All’inizio e alla fine del quartetto la voce di uno degli interpreti pronuncia due frasi emblematiche del testo dantesco: la condanna del peccato (“O Simon mago, o miseri seguaci”), e alla fine la sua descrizione – dura e, per così dire, tombale – : “Fatto v’avete Dio d’oro e d’argento”. Le scelte espressive del mio brano si adeguano ai due momenti appena descritti: per cominciare, figure che in qualche modo (c’è sempre, e per fortuna, un décalage nel passaggio da un sistema all’altro) rimandano all’indignazione e alla collera dell’autore; per finire, un movimento gradualmente discendente nelle altezze e nelle dinamiche, che allude alla dolorosamente impietosa costatazione finale.
LUCA RICCI: Tacendo e lagrimando
Questo breve quartetto è una lenta e strascicata processione di oggetti sonori, “dannati” e “sfigurati”, ciascuno dei quali è formato sempre da una nota “alta” sovrapposta a una “bassa” (un bicordo a rappresentare testa e piedi…). Il violino primo e la viola guardano “dinanzi” (come osavano fare gli indovini fraudolenti), mentre il violino secondo e il violoncello leggono rispettivamente le medesime parti, ma a ritroso: la pena del contrappasso (“da le reni era tornato ’l volto, e in dietro venir li convenia”). Due canoni cancrizzanti sovrapposti, dunque, che – al pari delle terzine in endecasillabi dantesche – danno materia alle passioni, “incatenandole” entro un rigoroso congegno ritmico-sonoro.
GIOVANNI BIETTI: Souvenir della quinta Bolgia
Ho sempre avuto un debole per il primo “Canto dei Barattieri”: il tono comico, i nomi e il linguaggio dei diavoli, le immagini, i suoni – l’incredibile “cul fatto trombetta” -, la rapidità e varietà, davvero ideali per due soli minuti di musica. Il pezzo è un “Souvenir”, una serie di impressioni raccolte e riportate, per così dire, dal viaggio; ma c’è spazio per una netta articolazione formale (non è ABA: è un’eco, un ricordo di quella forma), per gli elementi onomatopeici (la pece ribollente, i battiti d’ali), i tocchi scherzosi e ambigui (la “trombetta” è il gesto conclusivo, oppure sono i brandelli di fanfare deformati e lontani?), per l’accenno al ritmo della Terzina dantesca, con i materiali che appaiono, riappaiono, spariscono, lasciando il posto a nuove rime e nuovi versi.
DANIELE VENTURI: D22
D22 è una partitura ispirata al XXII canto dell’Inferno dantesco e da esso ricava il drama. La composizione è divisa in quattro zone formali, dialetticamente contrastanti. Le tecniche compositive utilizzate quali ad esempio: la variazione, l’hochetus e il bordone, sono pensate in funzione dei procedimenti alchemici del “Solve et Coagula”. Il sistema compositivo è basato su una scala cromatica sestitonale di 36 altezze. La ritmica è organizzata utilizzando concetti matematici, mentre l’armonia, spesso tesa, è in gran parte derivata dallo spettro delle armoniche. Attraverso una forte ricerca poetica e musicale si esplorano le possibilità timbriche ed espressive del quartetto d’archi. Così, per mezzo di un intenso lirismo materico, si sfocia in sonorità “spaziali” nelle quali il suono viene trasfigurato in ogni suo parametro.
REMO ANZOVINO: Caiaphas’ Guilt
Nel canto XXIII Dante e Virgilio entrano nella sesta bolgia, dove sono gli Ipocriti. L’introduzione in forma di corale religioso conduce al tema esposto dal violoncello, che rappresenta la soggettiva del pensiero di Caifa, il sommo sacerdote che fece giustiziare Gesù, e che vediamo confitto per terra. Poi il pizzicato del cello e della viola, attualizzano nel suono l’universalità della storia e – nel controtempo – creano un incastro ritmico e percussivo che richiama la scena in cui gli altri peccatori calpestano Caifa. Su questo pattern ritmico il secondo violino disegna un controsoggetto ipnotico sotto al tema, affidato al primo violino. Al termine di questo episodio, il contrappunto spinge ognuno in una direzione onirica e la sensazione che prevale è quella del supplizio.
FEDERICO MARIA SARDELLI: Inferno 24
Inferno 24 è per me solo pittura musicale: convinto che la musica non possa descrivere nulla di oggettivo ma solo evocare sensazioni e pensieri soggettivi, ho voluto dipingere l’ambiente in cui si svolge la scena narrata da Dante, non i suoi personaggi né le sue vicende. Non ci sono dunque né ladri né uomini probi, né Dante né Vanni Fucci, ma solo la sensazione di gelo che si prova nell’atmosfera del canto XXIV, fatta di brina e neve sciolta, rocce impervie e la fredda geometria delle bolge inclinate verso il pozzo centrale. Un misto contrastante di elementi mobili e disorganizzati e di altri geometrici e razionali, che ho provato ad esprimere sovrapponendo una gabbia di patterns minimali sfalsati e rigorosamente razionali ma disumani, spezzati di tanto in tanto da frasi liriche, e pertanto irrazionali, umane.
GIOVANNI SOLLIMA: Canto XXV
Il Canto XXV per me è uno dei più visionari, Dante racconta ciò che vedono i suoi occhi, una metamorfosi, e lo fa con tempi teatrali o – diremmo oggi – cinematografici. Alla fine del piccolo brano ho inserito la voce degli interpreti, su uno speech (quindi non intonato) rotto come più o meno accade nell’antico Cunto siciliano, in effetti se ci pensiamo la Comedia di Dante nel tempo si è così radicata nella cultura popolare (mio nonno – come credo tanti nonni – la sapeva tutta a memoria) ed è questo che mi ha sempre incuriosito, radici antichissime e visionarietà senza tempo.
ALBERTO CARA: quando venimmo a quella foce stretta
Questo mio quartettino vuol essere un viaggio rischioso attraverso i marosi, come quello di Ulisse nell’ultima sua avventura. La forma è quella dello studio da concerto, con la ripetizione di formule rapide ed incalzanti, tipica di una certa idea di virtuosismo. La difficoltà risiede nel conciliare due elementi contrapposti: le scale che fungono da accompagnamento e i pizzicati che formano una melodia sghemba.
MATTEO MANZITTI: …un confuso suon che fuori n’uscia..
Un confuso suon che fuori n’uscia: non poteva che chiamarsi così il breve brano che ho scritto sul 27esimo canto dell’Inferno dantesco. Nell’Inferno di Dante l’udito è un senso estremamente evocato, ed è propria questa l’espressione da lui usata per introdurre la figura di Guido Da Montefeltro. Guido si presenta prima di tutto come un suono, un suono ancora non definito, confuso. L’intervallo di semitono viene usato qui nella sua sedimentazione di significati storicamente riconducibili al lamento e alla sofferenza, la tecnica al ponticello poi crea una tinta sonora enarmonica e multistratificata. Il discorso musicale si anima, come un animale in gabbia che è destinato a non liberarsi dalle sue catene.
ALESSANDRO CUSATELLI: Già veggia
Dannati costretti a ruotare in circolo, sottoposti a lacerazioni delle proprie viscere, che nella corsa incessante pendono dal corpo, fino a rimarginarsi l’attimo prima di venire nuovamente sottoposti al supplizio….in una delle immagini più cruente dell’intero Inferno dantesco, colpisce un moto perpetuo degli orrori, cui la musica tende riferirsi nel ritmo incessante, nel ripetersi degli elementi tematici e nel contesto drammatico delle sue accentuazioni.
MARCO LOMBARDI: Tinnitus
Il mio pezzo sposa il retaggio di un passo dell’Inferno all’idea del tinnitus, evento di natura fisio-acustica altrimenti detto acufene. Come noto si tratta di una sorta di un suono piuttosto acuto e prolungato che perseguita costantemente chi ne soffre. Da tempo convivo con tale fastidio che fortunatamente non è invalidante. Nei momenti in cui esso si acuisce, per cause che la medicina ancora non conosce a fondo, può venire spontaneo coprirsi li orecchi con le man (XXIX, 45) imitando in ciò il gesto che compie Dante per ripararsi dai lamenti dei dannati di Malebolge. Ho cercato di tradurre musicalmente tutto questo lavorando su una e una sola nota che, niente affatto statica, esibisce una sua vitalità frutto di modifiche ritmiche, timbriche, dinamiche e di articolazione.
MARCO DI BARI: Canto XXX
La rilettura del canto XXX dell’inferno dantesco, richiama alla memoria figure lontane ed emozioni sopite, tra queste il nuovo incrocio con la figura di ” Gianni Schicchi”. La sovrapposizione alla lettura del canto delle note pucciniane è inevitabile. Sul vetrino da microscopio , tale è un microquartetto, all’alone delle parole di Dante fanno eco le melodie di Puccini ed una velata citazione del ” O mio babbino caro” si insinua tra le maglie sottili e dense della scrittura, il suono bianco prodotto da un richiamo di uccello cosituisce una voce aggiuntivo,una sorta di ” polifonia timbrica” a mantecare gli strati della memoria deformante.
FABRIZIO CASTI: ‘l senso s’inganna di lontano
… suoni che scivolano … suoni che respirano … ansimano e affollano lo spazio … contorni che vibrano … equilibri che si spezzano … dove tutto si muove … si trasforma man mano che si ascolta … senza peso … forza … nell’oscurità. Attraversando luoghi … narrati da parole che evocano … immobili … quasi offuscati da suoni situati altrove, dai suoni materici degli archi … nel tentativo di cogliere un rumore oggettivo del mondo, il rumore silenzioso delle emozioni, il rumore silenzioso dei pensieri, atteggiamenti verso la vita, verso un’assunzione di fragilità.
ALESSANDRO SOLBIATI: Canto XXXII
Entrando nel nono cerchio infernale, a Dante si presenta la livida e silenziosa immagine dell’immensa superficie ghiacciata del Lago Cocito: l’acutissima lama sonora di un cluster d’armonici che nasce dal silenzio ne è la mia rappresentazione sonora. Dante via via si accorge che quella distesa deserta in realtà è punteggiata da mille e mille teste sporgenti dal ghiaccio, appartenenti a dannati che si animano davanti a lui e dicono la loro colpa e l’orribile punizione. Allo stesso modo il mio cluster a poco a poco è percorso da sottili glissati che prendono forma di lamento e poi di grida sempre più pressanti e affollate, trasformandosi infine in aspre raffiche discendenti che trascinano tutto nel gorgo di un rombo oscuro che tutto cancella, tornando al silenzio iniziale.
FEDERICO BISCIONE: Dentro da la Muda
Questo mio preludietto al canto XXXIII dell’Inferno si incarica di evocare le situazioni descritte nel canto dantesco dal punto di vista di Ugolino, rinchiuso coi suoi figli all’interno della torre, da cui il titolo Dentro da la Muda. Pur nel breve spazio di soli due minuti, hanno trovato posto nella partitura la figurazione gestuale del fiero pasto e la dolorosa descrizione dell’orrenda situazione di prigionia e di fame, poi la morte progressiva dei figli di Ugolino con quel tanto di patetico che strapperà al poeta una famosa invettiva contro Pisa. Ha una relativa estensione l’onirica descrizione della caccia nel terribile sogno premonitore, e infine gli orrendi colpi che inchioderanno per sempre la porta di ingresso, e che tolgono ai condannati qualsiasi speranza di salvezza.
COSIMO CAROVANI: Inferno canto XXXIV “Vexilla regis prodeunt inferni”
Il brano si sviluppa intorno alla discesa ed ascesa dalla burella all’uscita infernale. La prima parte, con l’utilizzo della sequenza di Tommaso da Celano dies irae, la tecnica sul ponticello per rappresentare il gelo e una concatenazione di passus duriusculus, raffigurano la visione di Lucifero, diabulus, nel tema del violoncello, e la discesa verso il centro della terra. Vengono poi esposti tre accordi cardine della concezione bachiana che rappresentano terra, uomo e cielo, i quali conducono il brano nella sua parte finale. Con la pietà richiesta dal Salve Regina, Laudario di Cortona, e dal Kyrie Eleson, si innesca una catarsi che lentamente rarefà i venti infernali, lasciando spazio ad un corale il quale raggiunge altezze “celestiali”. Il tema demoniaco diventa una eco lontana del grande viaggio e il brano si estingue dopo sei colpi di campana, rappresentazione metaforica del sorgere del sole, e quindi dell’uscita dalle tenebre eterne.
QUARTETTO INDACO
Eleonora Matsuno, violino
Ida Di Vita, violino
Jamiang Santi, viola
Cosimo Carovani, cello
“… Sound quality, impeccable together and
commitment to making the dialogue between the instruments intelligible … ”
(Gaetano Santangelo, Amadeus)
Il Quartetto Indaco nasce nel 2007 presso la Scuola di Musica di Fiesole, grazie all’impulso di Piero Farulli e Andrea Nannoni, ed è oggi considerato tra i più interessanti quartetti d’archi italiani della sua generazione: Paolo Viola dice del quartetto che è formato da “musicisti che hanno raggiunto un magnifico suono e un amalgama esemplare, e che sono entrati a pieno titolo nel gotha dei più importanti Quartetti italiani”.
Dopo il diploma a Fiesole, il Quartetto Indaco segue corsi di specializzazione con esponenti dei maggiori quartetti del nostro tempo (tra gli altri, Hatto Beyerle e Günter Pichler del leggendario Quartetto Alban Berg e Rainer Schmidt del Quartetto Hagen) consegue il Master in Musica da Camera nel 2017 presso la Musikhochschule di Hannover, sotto la guida di Oliver Wille (Quartetto Kuss), e si perfeziona anche in seno alla prestigiosa Accademia Chigiana con la quale collabora facendo concerto sia in Italia che all’estero.
Il quartetto è stato premiato con il premio Scotese nel 2017, il “Börsen Club Hannover” e dopo essersi aggiudicato il premio speciale “Jeunesses Musicales” al Concorso Internazionale “Premio Paolo Borciani” 2014, è stato tra i finalisti del medesimo Concorso nel 2017 e si è aggiudicato diversi premi e borse di studio internazionali.
Particolarmente apprezzato dal pubblico per la sua straordinaria comunicativa, il Quartetto Indaco riceve da sempre ottime recensioni dalla critica specializzata che ha definito le sue performance “uno stupefacente spettacolo di fuochi d’artificio, così brillante che i muri della sala a stento lo contenevano”.
Ensemble “compatto, pieno di smalto e di esuberanza”, l’Indaco mette in risalto le proprie qualità artistiche in un vasto repertorio, dal classico al contemporaneo, con una particolare predilezione per gli autori del XIX e XX secolo.
Inoltre, il Quartetto Indaco svolge un’approfondita ricerca sugli autori italiani e si dedica alla diffusione di nuovi linguaggi musicali.
Ospite di festival e istituzioni musicali di prestigio in Italia (tra gli altri, I Concerti del Quirinale a Roma con diretta su Rai Radio3, Musica nel Tennis a Villa Necchi per la Società del Quartetto di Milano, Amici della Musica di Reggio Emilia, Festival “Paesaggi Musicali Toscani”, “Festival dei Due Mondi” di Spoleto, Nuova Consonanza), il Quartetto si esibisce regolarmente anche in Germania (Heidelberger Frühlings, Podium Festival, Goslar Musik Wochen) Svizzera, Irlanda, Lettonia, Svezia, Portogallo, Spagna e Olanda.
Nella stagione 2019/20 ha debuttato all’Unione Musicale di Torino e allo Stradivari Festival di Cremona, esibendosi con il pianista Uri Caine in un concerto cross-over dedicato a Wagner. Inoltre, è stato tra i protagonisti dell’integrale beethoveniano “Roll Over Beethoven” promosso dall’Accademia Chigiana di Siena: i due concerti tenuti dall’ensemble sono stati particolarmente apprezzati dalla critica che ha sottolineato come “l’armonia dell’esecuzione abbia permesso al pubblico di sentirsi pienamente coinvolto…”.
Collabora inoltre attivamente con solisti e cameristi di fama internazionale, tra cui Enrico Bronzi, Avi Avital, Julian Bliss, Franziska Pietsch, Josu de Solaun, Bruno Canino, Massimo Mercelli, Claudia Barainsky, Giovanni Scaglione.
Il quartetto è dedicatario di molteplici lavori di compositori come Giovanni Sollima, Federico Maria Sardelli, Alessandro Solbiati, Giovanni Bietti, Nicola Sani e nel 2020 ha eseguito il brano “Via Lucis delle Ombre” per quartetto concertante ed orchestra d’archi nella stagione orchestrale di Milano Classica.
Inoltre, ha registrato per Brillant Classics l’integrale dei quartetti del compositore pavese Giovanni Albini e con Ema Vinci S.r.l. con la vittoria del bando SIAE “per chi crea” 2019 il quartetto “Canti dopo l’Apocalisse” di Andrea Portera.
Nel 2020 esce il primo Album, pubblicato con Ema Vinci dedicato alla musica del nord intitolato “Northern Lights” con lavori di Grieg, Sallinen, Rachmaninov e Cosimo Carovani con un lavoro dedicato al quartetto.
Per il 2021 porta avanti il progetto editoriale e discografico “Dante21” in collaborazione con la casa Editrice Contemporanea “Sconfinarte” di Milano, che vede coinvolti 34 compositori italiani viventi per i canti dell’Inferno dantesco, e sempre nel 2021 uscirà il nuovo album “Miniature” dedicato ad un percorso storico e musicale, attraverso dei piccoli gioielli del repertorio quartettistico.
Dal 2017 prende parte al progetto internazionale “Le Dimore del Quartetto” ed è quartetto in residence presso il festival HighScore di Pavia e dell’orchestra Milano Classica dal 2017.